L’evoluzione del quidditch

Per festeggiare i 15 anni dalla nascita del quidditch vi proponiamo un articolo scritto a quattro mani da Gloria e Federica, due giocatrici che hanno vissuto sulla propria pelle la nascita e la crescita della squadra e che hanno assistito all’evoluzione del quidditch in Italia. Pronti per questo tuffo nel passato?

GLORIA
Vi è mai capitato di viaggiare con la mente a tempi lontani, e vi compare sulla faccia un sorriso di malinconia? E parte subito il “ah, i bei vecchi tempi!” ricordando momenti e situazioni felici, un po’ come i vecchietti che si lamentano “ai miei tempi…!”.
Beh a me succede, ed anche abbastanza spesso… che ci volete fare, sono una ragazza amarcord (alla perugina però: ah! M’arcord).
In questo ultimo periodo mi sono ritrovata a ripercorrere la storia dei Gryphons, dalla loro fondazione fino ad oggi e non ho potuto fare a meno di riflettere su quanto il mondo del quidditch sia cambiato!

Evviva il progresso ed il futuro, ok.
Però ci sono delle cose che proprio mi mancano, che se ci fosse un modo per poter tornare indietro, o comunque ricreare alcune situazioni lo farei. Volete un esempio? Subito!

Un allenamento tipo durante l’inverno del 2015

Ricordo con affetto i primi periodi della squadra, diciamo dal 2014 al 2016/17. Effettivamente, ancora non ci si poteva chiamare squadra, visto che in quegli anni avevamo una media di 3,5 giocatori.
Il quidditch in Italia esisteva già da diversi anni, ma non era ancora molto sviluppato ed organizzato, esisteva già l’AIQ (Associazione Italiana Quidditch Nda) e c’erano 5-6 squadre che si scontravano al Torneo Nazionale. A quel tempo eravamo veramente pochi e questo rendeva necessaria una stretta relazione ed interdipendenza fra tutti. Per poter giocare devi avere qualcuno da affrontare, perciò sei molto propositivo verso le altre squadre, li sproni a crescere, a fare eventi di promozione nel territorio e fai dei gemellaggi per allenarcisi insieme e scambiarsi esercizi e consigli.

I primi anni della squadra di Perugia per me sono stati bellissimi! Non nego la fatica e lo scoraggiamento per gli allenamenti fatti in 3, però a quella demoralizzazione si contrapponevano il calore ed interesse delle altre squadre ed il divertimento dei quidditch day!
O mamma mia da quanto tempo non partecipo ad un quidditch day? Quelle domeniche passate insieme alle altre squadre, una volta nei giardini pubblici della mia città, un’altra volta nella tua, con un solo scopo: giocare insieme e divertirsi, e magari incuriosire qualche passante e convincerlo a provare e perché no, ad entrare in squadra?
Partiva tutto con un invito su Facebook e la risposta di chi poteva esserci, alcuni da Bologna, altri da Roma, Foiano, Siena. Poi arrivava l’agognata domenica: caricato in macchina lo zaino con il necessario (fascette, maglia di ricambio, scarpette, pranzo al sacco) si partiva con la delegazione, pronti a giocare. Ce n’era almeno uno al mese, e si cercava sempre di partecipare, se le distanze lo permettevano, proprio perché essendo in pochi in squadra, avevi finalmente la possibilità di giocare una partita “vera” con il numero di giocatori necessari. Si arrivava e ci si mischiava, le squadre si facevano tenendo conto dei ruoli, non sapevi mai con chi potevi capitare finché non arrivavi al parco e sapevi realmente chi c’era e chi no. Questo ti permetteva di conoscere un sacco di gente nuova ogni volta e consolidare conoscenze per farle diventare amicizie; inoltre variare così spesso ti permetteva di conoscere tanti stili di gioco diverso.
Il bello dei quidditch day era stare insieme, divertirsi, chiacchierare e giocare, niente agonismo spietato, niente delusione per la sconfitta, perché finita una partita si rimischiavano le squadre e si ricominciava un nuovo match.

Oggi il quidditch è cambiato. È normale che sia così, come dice qualcuno: tutto si trasforma.
Non si fanno più quidditch day con la stessa frequenza però si fanno eventi ufficiali bene organizzati, con volontari e arbitri internazionali.
Non ci si vede più tanto spesso, ma le amicizie e gli affiatamenti dei tempi andati si ripresentano ad ogni torneo, rinnovandosi insieme a questo sport ed al suo regolamento (del rulebook magari, parliamo un’altra volta 😉).
Chissà cosa ci riserverà il futuro?!

FEDERICA
Sono una persona introversa. Questo vuol dire che per me è difficile socializzare e fare amicizia con persone che non conosco.

 

Mi sono avvicinata al quidditch nel 2015, reduce da una pesante ricaduta nel fandom di Harry Potter durata un paio d’anni. Ero da mia nonna per il weekend quando, per puro caso, ho scoperto che in quei giorni si sarebbero tenuti gli Europei di Quidditch a Sarteano (SI), a pochi chilometri da lì.
Non sapevo praticamente niente di questo sport, solo qualche regola presa in prestito dalla controparte letteraria. Eppure appena i miei occhi si sono posati sul pitch sono stata folgorata!
Uno sport veloce, dinamico, confusionario e d’impatto. Squadre miste composte da persone completamente diverse tra loro. Chi usava l’agilità per schivare i bolidi o la corporatura esile per sgusciare via dalla difesa, e chi se ne fregava e, forte della sua stazza, passava sopra a chiunque gli si parava davanti.
Credo di essere rimasta lì imbambolata tutto il tempo della partita, incurante del fatto che ogni tanto mi passassero davanti atleti mezzi fasciati e sanguinanti. Ero euforica!

Dopo qualche mese ero già entrata in contatto con la squadra della mia città pronta a unirmi a loro, nonostante la mia preparazione atletica inesistente.

Purtroppo per molto tempo la nostra squadra è stata formata da solo tre persone. In tre era difficile allenarsi e mettere in pratica quanto imparato, così ci si arrangiava come si poteva. Fortunatamente c’erano i quidditch day, eventi giornalieri organizzati da questa o quella squadra per giocare insieme e dare la possibilità anche alle squadre più piccole di scendere in campo. Ovviamente sono grata a questo periodo perché ci ha permesso di resistere fino alla seconda nascita dei Perugia Gryphons del 2016, anno in cui abbiamo raggiunto i numeri sufficienti per essere chiamati squadra.

Come ho già detto, per me non è mai stato facile interagire con le persone e mettermi in mostra in uno sport che ancora non conoscevo bene, fisicamente indietro rispetto a gran parte della community e insicura per natura. Per me i quidditch day erano l’equivalente del compito in classe a sorpresa il lunedì mattina: un incubo! Ma, essendo l’unica occasione per giocare, ho sempre partecipato. Nonostante tutto.

Ammetto di aver attraversato un periodo in cui ho seriamente pensato di lasciare lo sport, prima dell’ingresso in squadra di altri giocatori e il raggiungimento del numero per essere definiti squadra ufficiale. La differenza d’età e di interessi con i compagni di squadra, l’assenza di un obiettivo reale e concreto, la sensazione di non vedere miglioramenti e di essere un peso per gli altri mi avevano quasi completamente abbattuta.

Poi è cambiato tutto. Siamo diventati tanti e finalmente avevamo un obiettivo, un motivo che ci spingeva ad impegnarci e a migliorare. Così sono restata e mi sono data del tempo. Tempo per crescere e imparare a conoscere le persone che mi circondavano e che oggi chiamo amici.

Il debutto ufficiale non è stato dei migliori ma è servito per motivarci ancora di più. Oggi mi guardo indietro e vedo tutti i traguardi che abbiamo tagliato insieme, tutti i passi da gigante che abbiamo compiuto in tre anni (il 2020, purtroppo, non si conta). La solida struttura che ci sostiene e l’impegno di tutti nella gestione della squadra, sia per quanto riguarda l’aspetto sportivo che amministrativo.

E come noi, anche il quidditch nazionale ha vissuto questa evoluzione graduale. Si sono formate nuove squadre e i tornei sono aumentati, diventando più competitivi.

Forse qualcuno potrà vedere questo aumento di competitività come una perdita dei valori fondanti dello sport, il cosiddetto quove (amore e rispetto all’interno della community del quidditch NdA). Per quanto mi riguarda penso che una cosa non escluda l’altra ma un’organizzazione strutturata è necessaria per la sopravvivenza e, speriamo, l’evoluzione di questo sport.

A me questo nuovo quidditch piace. Un quidditch che non si fatica a definire sport, che ti fa sudare e dolere anche muscoli di cui ignoravi l’esistenza.
Mi piace la competitività, so di non essere allo stesso livello di tante giocatrici che ammiro ma questo mi da la motivazione giusta per impegnarmi ancora di più. Una competitività che non ti fa sognare coppe e primi posti, sia chiaro. Piuttosto un riconoscimento del lavoro fatto, la soddisfazione di uscire dal campo e sapere di aver lottato ad armi (quasi) alla pari, di aver dato tutto quello che potevi senza tirarti indietro.

Per me il quidditch è una sfida, lo è sempre stata e mi piace!

Spesso mi chiedo come sarei oggi se non avessi iniziato a giocare a quidditch. La risposta è sempre la stessa: sola e chiusa in me stessa, probabilmente.
Perché è vero che all’inizio eravamo obbligati a fare delle scampagnate pur di giocare, ma dover stare in squadra con persone mai viste prima mi ha aiutato, forse nel modo più brutale possibile, a uscire dalla mia comfort zone. A evolvermi come persona prima che come sportiva. Sono felice e grata di aver vissuto sulla mia pelle gli ultimi dei primi anni del quidditch italiano perché è grazie a questo sport che sono rinata.